Alla domanda " Sei favorevole alla riapertura delle case chiuse?" posso rispondere solo cosi'...Se contemporaneamente in Italia annullano il Concordato Stato Chiesa, e tutte le ingerenze politiche della Chiesa nel nostro ordinamento politico, e la mentalita' razzista e beghina tipica dei maschi italiani che vanno con le prostitute, e si riforma la scuola con una vera educazione civile e non religiosa percio' ipocrita, verso le donne, (e non solo. mettiamoci dentro anche i gay, i negri, gli ebrei etc etc. ), e si comincia a parlare di vera parita' in modo che ogni lavoro svolto sia dignitoso, qualunque esso sia, e non sia discriminatorio verso nessuno..allora posso anche accettare l'idea di una riapertura delle case chiuse in Italia, solo se autogestite dalle stesse lavoratrici...Ma in questa societa' vedo molto difficile da realizzare questo passo avanti di elevazione culturale, quando ancora adesso la puttana e' il lavoro spregevole per eccellenza, l'unico che rimarca la fondamentale discriminazione verso le donne della nostra cultura maschilista ..Percio' rispondo che la riapertura delle case chiuse e' una grandissima sconfitta per tutte le donne...e una grande opportunita' per renderle ancora piu' schiave! La schiavitù fattasi Stato...stiamo tornando indietro..e nel modo piu' subdolo e peggiore facendo pure finta di fare un favore alle donne...
Altropensiero...
Pensieri in libertà vigilata...liberamente pensati...imprigionati nella rete...
martedì 27 agosto 2013
martedì 8 gennaio 2013
Musicisti...
Chi decide della nostra vita di musicisti?
A chi diamo mandato per mandarci tutti a casa?
Le eccellenze culturali come le Fondazioni Lirico sinfoniche in Italia che hanno avuto padri fondatori del calibro di Toscanini, in mano a politici che non sanno nemmeno di cosa stanno parlando!!
Ma stiamo scherzando??
In Italia stiamo diventando la barzelletta d'Europa.
La lirica Italiana, e parliamo dei nostri autori...dei nostri meravigliosi artisti, una produzione che ha reso il nostro paese famoso nel mondo e che ha creato intorno a questo meraviglioso mondo anche un indotto di enorme importanza economica, in mano a politici di abissale ignoranza in merito al nostro settore, politici che evidentemente non si rendono conto dello sfregio culturale inferto a tutti noi che in questo mondo ci viviamo, lavoriamo, abbiamo fatto sacrifici enormi per arrivare all'altissima professionalità che serve per suonare uno strumento, cantare un brano lirico, montare una scena, creare un costume, inventare una scena, illuminare i sogni!!!!
Ma con chi stiamo parlando??
Mi chiedo quale Paese civile, indegno di tal nome, si priva di una delle realtà più luminose della sua storia, realtà che lo ha reso un Paese rispettato e adorato nel mondo!! Con chi stiamo parlando???
In nome della crisi non si può smantellare la storia del nostro Paese. Equivale a voler smantellare le fondamenta della nostra Costituzione!!
Caro politico indegno, che stai minando la nostra realtà fatta di persone che svolgono un lavoro altamente specializzato, persone che nel loro lavorare insieme creano sogni, creano cultura e tengono alto il nome del nostro paese, caro politico indegno di portare questo nome in virtù di scelte miopi e idiote, ti rendi conto caro politico indegno, che stai facendo un errore che si ripercuoterà nel futuro di tutti noi, nella società civile, e che manderà a casa migliaia di lavoratori ??
Ma quanti sono i musicisti in Italia??
Quanti sono i lavoratori dello spettacolo in Italia?
Siamo pochi e produciamo moltissimo da anni per tenere alta l'immagine di questo paese!!
Caro politico indegno di portare questo nome, ti rendi conto che uccidendo il Teatro Lirico fai morire la nostra storia, fai morire il nostro amore per i giovani che non avranno mai più la possibilità di elevarsi culturalmente, di elevare l'anima e lo spirito con la musica e i sogni che vengono creati nei nostri palcoscenici italiani.
Mi rivolgo invece a te politico illuminato...
Rifletti e combatti questo scempio che si vuole perpretrare in nome del nulla, in nome di un risparmio che poco avrà a che fare con il risollevarsi dalla crisi e molto avrà a che fare con la volontà di renderci tutti più brutti e ignoranti!
Mi rivolgo a te politico illuminato che ancora nel tuo sangue fai scorrere forse le note di Verdi, Puccini, Wagner, Mozart e tanti altri meravigliosi autori che avrai sentito da bambino. magari in una ninna nanna, forse avrai ascoltato alla radio o forse avrai amato a Teatro, immergendoti per quelle due ore di spettacolo che per noi significano anni di studio, di sacrificio e di vita...
Caro politico illuminato ti chiedo da umile musicista di renderti più significante per tutti noi e combattere questa proposta orrenda di legge che ci vedrà chiudere tutti a uno a uno...
Questa legge indegna che vuole dare la responsabilità della gestione delle Fondazioni Lirico Sinfoniche alle Regioni che in questo momento storico non possono permettersi un esborso economico pari al cinquanta per cento del finanziamento statale detto Fondo unico dello spettacolo e che finora è stato a carico dello Stato.
Abbiamo sofferto noi lavoratori dello spettacolo lirico in questi anni, abbiamo tagliato il tagliabile, hanno ridotto all'osso i finanziamenti per questo settore....
ora con questa legge vergognosa ci vogliono eliminare per sempre.
Come le candeline all'arena di Verona che si spengono un po alla volta nelle sere d'estate, solo che per noi si spegneranno per sempre...e purtroppo non si riaccenderanno mai più!!!
A chi diamo mandato per mandarci tutti a casa?
Le eccellenze culturali come le Fondazioni Lirico sinfoniche in Italia che hanno avuto padri fondatori del calibro di Toscanini, in mano a politici che non sanno nemmeno di cosa stanno parlando!!
Ma stiamo scherzando??
In Italia stiamo diventando la barzelletta d'Europa.
La lirica Italiana, e parliamo dei nostri autori...dei nostri meravigliosi artisti, una produzione che ha reso il nostro paese famoso nel mondo e che ha creato intorno a questo meraviglioso mondo anche un indotto di enorme importanza economica, in mano a politici di abissale ignoranza in merito al nostro settore, politici che evidentemente non si rendono conto dello sfregio culturale inferto a tutti noi che in questo mondo ci viviamo, lavoriamo, abbiamo fatto sacrifici enormi per arrivare all'altissima professionalità che serve per suonare uno strumento, cantare un brano lirico, montare una scena, creare un costume, inventare una scena, illuminare i sogni!!!!
Ma con chi stiamo parlando??
Mi chiedo quale Paese civile, indegno di tal nome, si priva di una delle realtà più luminose della sua storia, realtà che lo ha reso un Paese rispettato e adorato nel mondo!! Con chi stiamo parlando???
In nome della crisi non si può smantellare la storia del nostro Paese. Equivale a voler smantellare le fondamenta della nostra Costituzione!!
Caro politico indegno, che stai minando la nostra realtà fatta di persone che svolgono un lavoro altamente specializzato, persone che nel loro lavorare insieme creano sogni, creano cultura e tengono alto il nome del nostro paese, caro politico indegno di portare questo nome in virtù di scelte miopi e idiote, ti rendi conto caro politico indegno, che stai facendo un errore che si ripercuoterà nel futuro di tutti noi, nella società civile, e che manderà a casa migliaia di lavoratori ??
Ma quanti sono i musicisti in Italia??
Quanti sono i lavoratori dello spettacolo in Italia?
Siamo pochi e produciamo moltissimo da anni per tenere alta l'immagine di questo paese!!
Caro politico indegno di portare questo nome, ti rendi conto che uccidendo il Teatro Lirico fai morire la nostra storia, fai morire il nostro amore per i giovani che non avranno mai più la possibilità di elevarsi culturalmente, di elevare l'anima e lo spirito con la musica e i sogni che vengono creati nei nostri palcoscenici italiani.
Mi rivolgo invece a te politico illuminato...
Rifletti e combatti questo scempio che si vuole perpretrare in nome del nulla, in nome di un risparmio che poco avrà a che fare con il risollevarsi dalla crisi e molto avrà a che fare con la volontà di renderci tutti più brutti e ignoranti!
Mi rivolgo a te politico illuminato che ancora nel tuo sangue fai scorrere forse le note di Verdi, Puccini, Wagner, Mozart e tanti altri meravigliosi autori che avrai sentito da bambino. magari in una ninna nanna, forse avrai ascoltato alla radio o forse avrai amato a Teatro, immergendoti per quelle due ore di spettacolo che per noi significano anni di studio, di sacrificio e di vita...
Caro politico illuminato ti chiedo da umile musicista di renderti più significante per tutti noi e combattere questa proposta orrenda di legge che ci vedrà chiudere tutti a uno a uno...
Questa legge indegna che vuole dare la responsabilità della gestione delle Fondazioni Lirico Sinfoniche alle Regioni che in questo momento storico non possono permettersi un esborso economico pari al cinquanta per cento del finanziamento statale detto Fondo unico dello spettacolo e che finora è stato a carico dello Stato.
Abbiamo sofferto noi lavoratori dello spettacolo lirico in questi anni, abbiamo tagliato il tagliabile, hanno ridotto all'osso i finanziamenti per questo settore....
ora con questa legge vergognosa ci vogliono eliminare per sempre.
Come le candeline all'arena di Verona che si spengono un po alla volta nelle sere d'estate, solo che per noi si spegneranno per sempre...e purtroppo non si riaccenderanno mai più!!!
domenica 6 marzo 2011
Manuale d'indottrinamento delle masse mediante i mass media - Noam Chomsky
1 - La strategia della distrazione
L’elemento primordiale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel deviare l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dei cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche, attraverso la tecnica del diluvio o inondazioni di continue distrazioni e di informazioni insignificanti.
La strategia della distrazione è anche indispensabile per impedire al pubblico d’interessarsi alle conoscenze essenziali, nell’area della scienza, l’economia, la psicologia, la neurobiologia e la cibernetica. “Mantenere l’Attenzione del pubblico deviata dai veri problemi sociali, imprigionata da temi senza vera importanza. Mantenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza nessun tempo per pensare, di ritorno alla fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).
2 - Creare problemi e poi offrire le soluzioni. Questo metodo è anche chiamato “problema- reazione- soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” prevista per causare una certa reazione da parte del pubblico, con lo scopo che sia questo il mandante delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che si dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, o organizzare attentati sanguinosi, con lo scopo che il pubblico sia chi richiede le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito della libertà. O anche: creare una crisi economica per far accettare come un male necessario la retrocessione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.
3 - La strategia della gradualità.
Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, a contagocce, per anni consecutivi. E’ in questo modo che condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte durante i decenni degli anni 80 e 90: Stato minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione in massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero state applicate in una sola volta.
4 - La strategia del differire.
Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria”, ottenendo l’accettazione pubblica, nel momento, per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro che un sacrificio immediato. Prima, perché lo sforzo non è quello impiegato immediatamente. Secondo, perché il pubblico, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. Questo dà più tempo al pubblico per abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo rassegnato quando arriva il momento.
5 - Rivolgersi al pubblico come ai bambini.
La maggior parte della pubblicità diretta al gran pubblico, usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, molte volte vicino alla debolezza, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente mentale. Quando più si cerca di ingannare lo spettatore più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se avesse 12 anni o meno, allora, in base alla suggestionabilità, lei tenderà, con certa probabilità, ad una risposta o reazione anche sprovvista di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno (vedere “Armi silenziosi per guerre tranquille”).
6 - Usare l’aspetto emotivo molto più della riflessione.
Sfruttate l’emozione è una tecnica classica per provocare un corto circuito su un’analisi razionale e, infine, il senso critico dell’individuo. Inoltre, l’uso del registro emotivo permette aprire la porta d’accesso all’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o indurre comportamenti….
7 - Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità.
Far si che il pubblico sia incapace di comprendere le tecnologie ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù.
* “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza dell’ignoranza che pianifica tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare dalle classi inferiori”.
8 - Stimolare il pubblico ad essere compiacente con la mediocrità.
Spingere il pubblico a ritenere che è di moda essere stupidi, volgari e ignoranti.
9 - Rafforzare l’auto-colpevolezza.
Far credere all’individuo che è soltanto lui il colpevole della sua disgrazia, per causa della sua insufficiente intelligenza, delle sue capacità o dei suoi sforzi. Così, invece di ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e s’incolpa, cosa che crea a sua volta uno stato depressivo, uno dei cui effetti è l’inibizione della sua azione. E senza azione non c’è rivoluzione!
10 - Conoscere agli individui meglio di quanto loro stessi si conoscano.
Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno generato un divario crescente tra le conoscenze del pubblico e quelle possedute e utilizzate dalle élites dominanti. Grazie alla biologia, la neurobiologia, e la psicologia applicata, il “sistema” ha goduto di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia nella sua forma fisica che psichica. Il sistema è riuscito a conoscere meglio l’individuo comune di quanto egli stesso si conosca. Questo significa che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un controllo maggiore ed un gran potere sugli individui, maggiore di quello che lo stesso individuo esercita su sé stesso.
L’elemento primordiale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel deviare l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dei cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche, attraverso la tecnica del diluvio o inondazioni di continue distrazioni e di informazioni insignificanti.
La strategia della distrazione è anche indispensabile per impedire al pubblico d’interessarsi alle conoscenze essenziali, nell’area della scienza, l’economia, la psicologia, la neurobiologia e la cibernetica. “Mantenere l’Attenzione del pubblico deviata dai veri problemi sociali, imprigionata da temi senza vera importanza. Mantenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza nessun tempo per pensare, di ritorno alla fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).
2 - Creare problemi e poi offrire le soluzioni. Questo metodo è anche chiamato “problema- reazione- soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” prevista per causare una certa reazione da parte del pubblico, con lo scopo che sia questo il mandante delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che si dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, o organizzare attentati sanguinosi, con lo scopo che il pubblico sia chi richiede le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito della libertà. O anche: creare una crisi economica per far accettare come un male necessario la retrocessione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.
3 - La strategia della gradualità.
Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, a contagocce, per anni consecutivi. E’ in questo modo che condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte durante i decenni degli anni 80 e 90: Stato minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione in massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero state applicate in una sola volta.
4 - La strategia del differire.
Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria”, ottenendo l’accettazione pubblica, nel momento, per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro che un sacrificio immediato. Prima, perché lo sforzo non è quello impiegato immediatamente. Secondo, perché il pubblico, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. Questo dà più tempo al pubblico per abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo rassegnato quando arriva il momento.
5 - Rivolgersi al pubblico come ai bambini.
La maggior parte della pubblicità diretta al gran pubblico, usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, molte volte vicino alla debolezza, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente mentale. Quando più si cerca di ingannare lo spettatore più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se avesse 12 anni o meno, allora, in base alla suggestionabilità, lei tenderà, con certa probabilità, ad una risposta o reazione anche sprovvista di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno (vedere “Armi silenziosi per guerre tranquille”).
6 - Usare l’aspetto emotivo molto più della riflessione.
Sfruttate l’emozione è una tecnica classica per provocare un corto circuito su un’analisi razionale e, infine, il senso critico dell’individuo. Inoltre, l’uso del registro emotivo permette aprire la porta d’accesso all’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o indurre comportamenti….
7 - Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità.
Far si che il pubblico sia incapace di comprendere le tecnologie ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù.
* “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza dell’ignoranza che pianifica tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare dalle classi inferiori”.
8 - Stimolare il pubblico ad essere compiacente con la mediocrità.
Spingere il pubblico a ritenere che è di moda essere stupidi, volgari e ignoranti.
9 - Rafforzare l’auto-colpevolezza.
Far credere all’individuo che è soltanto lui il colpevole della sua disgrazia, per causa della sua insufficiente intelligenza, delle sue capacità o dei suoi sforzi. Così, invece di ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e s’incolpa, cosa che crea a sua volta uno stato depressivo, uno dei cui effetti è l’inibizione della sua azione. E senza azione non c’è rivoluzione!
10 - Conoscere agli individui meglio di quanto loro stessi si conoscano.
Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno generato un divario crescente tra le conoscenze del pubblico e quelle possedute e utilizzate dalle élites dominanti. Grazie alla biologia, la neurobiologia, e la psicologia applicata, il “sistema” ha goduto di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia nella sua forma fisica che psichica. Il sistema è riuscito a conoscere meglio l’individuo comune di quanto egli stesso si conosca. Questo significa che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un controllo maggiore ed un gran potere sugli individui, maggiore di quello che lo stesso individuo esercita su sé stesso.
sabato 5 marzo 2011
The dark side of the love
Vero Bastardo
Racconti brevi
The dark side of the love
(Liberamente tratto da una storia vera)
Si era persa!
Aveva perso tutti i suoi punti di riferimento! Porca puttana! Proprio ora!
Girava a vuoto senza seguire nessuna logica precisa ed era sola.
Ogni tanto aveva la sensazione di esserci già passata, in quel dato posto, di aver già sentito quell’odore, di aver già visto quella luce, le pareva proprio di girare sempre in tondo.
Era da un po’ di tempo che vagava da sola, ci si era trovata senza rendersene conto: stava passeggiando col suo compagno, quando si era distratta un attimo e….puff… lui era sparito.
Non che gliene fregasse più che tanto, l’aveva conosciuto da poco, ma in questa situazione la sua presenza sarebbe stata comunque un aiuto.
Ora il problema non era trovare la strada di casa, non ce l’aveva nemmeno una casa,
ora il problema era trovare un posto dove stare tranquilla, la vita che le cresceva dentro scalpitava in modo strano, come se ci fosse qualcosa che non andasse come doveva.
Non era il suo primo parto, la sua progenie era numerosa, ma si sentiva emozionata come una primipara
ed aveva paura.
Finalmente trovò una sistemazione: il luogo era perfetto allo scopo, il letto a disposizione era comodo,
da fuori nessuno non avrebbe visto ne sentito cosa succedeva dentro e non faceva ne troppo freddo
ne troppo caldo.
Si distese sul morbido ed attese che arrivasse il momento.
Le doglie cominciarono a scandire il tempo, arrivarono le contrazioni, prima solitarie, isolate, poi a gruppetti, poi ritmiche, poi ravvicinate, sempre di più….. ogni 10 minuti…..ogni 5………… ogni minuto….
Sangue!!!... Dolore!!!....Ma non era il solito dolore, c’era qualcosa di strano, la solita gioia che leniva le sofferenze era svanita, non si sentiva più protetta dal buonumore, era stranamente esposta senza difese alle lacerazioni della carne; ecco cosa non quadrava: sembrava che l’essere cresciuto nelle sue viscere non fosse più interessato a venire al mondo, non collaborava.
Il motivo era che era già morto, aveva ormai rinunciato all’avventura terrena.
Ci mise un po’ a capirlo, più che altro non voleva crederci… ma come?? Tutto quel tempo per arrivare a questo punto? A cosa era servito allora stare attenta, riguardarsi, mangiare bene, fare esercizio se la vita che aveva dentro non voleva sbocciare? Ora il frutto di tutti quegli sforzi giaceva li, davanti a lei….immobile, con gli occhi chiusi e la serietà di chi si trova davanti alle verità della vita stampata in volto.
Guardava il corpo esanime con amarezza, era troppo stanca per essere davvero triste, lasciava che le sensazioni le passassero sopra senza che rimanesse nessun segno nella mente e nell’umore.
Provò ancora un paio di volte a scuotere il piccolo ammasso di carne, senza troppa convinzione però,
solo così, giusto per dire di averci provato un’ultima volta, e si allontanò da sola col passo lento di chi ha un pesante fardello invisibilmente legato all’anima.
Camminava senza meta, seguiva solo la sottile traccia del suo dolore, cercava inconsciamente di riempire il vuoto nero che le si era creato dentro, sapeva che non era possibile, ma sperava di fottere la sorte e di farla franca alla faccia della sfiga.
In questo stato d’animo …….. LO VIDE!!!!!
Era solo, indifeso, adagiato sotto una frasca, quasi nascosto alla vista dei viandanti.
Si guardava attorno con lo smarrimento di chi si trova in un posto sconosciuto e non capisce un cazzo di quello che gli sta succedendo. Era nato da poco, anzi sembrava proprio appena nato, aveva la stessa età di quello che avrebbe dovuto esser suo figlio.
Uno strano pensiero si infiltrò nella sua mente: era lui il figlio che doveva nascere dalla sua pancia, solo per sbaglio era nato da un’altra femmina, la natura aveva però messo a posto le cose, come al solito alla sua maniera, un po’ cruda e sempre irreversibile.
Probabilmente sua madre era morta, succedeva spesso in quella regione del mondo, la guerra costante che caratterizzava la vita di quei posti non aveva pietà di nessuno, figuriamoci degli indifesi.
Fisicamente si notava che faceva parte della fazione opposta alla sua, normalmente l’avrebbe aggredito ed anche ucciso, non per cattiveria, solo perché in guerra non agire spesso vuol dire morire.
Ora però il suo dolore le faceva vedere tutto in un modo strano, diverso, i colori e le forme non avevano più il valore di prima, persino gli odori, da sempre guida dei suoi passi, erano svaniti in una nuvola indistinta di sensazioni. Si guardò attorno, scrutando attentamente con gli occhi che non ci fosse nessuno a vedere quella scena assurda, altrimenti avrebbe potuto esser testimone della follia che il dolore le stava facendo compiere; si allungò verso la creatura, sentì il suo respiro affannoso, provò una sensazione d’amore e di protezione che non aveva mai sentito nemmeno per i suoi figli e decise che da quel momento sarebbe stata lei la mamma di quel fagottino fatto di occhi grandi, tenerezza e fragilità….
Avrebbe difeso la sua vita, gli avrebbe insegnato lei a cavarsela in questo mondo impietoso, si sarebbe presa cura dei suoi bisogni, per sempre, come solo un vero genitore sa fare.
Non era certo facile!!! Quelli dell’altra fazione, avversaria della sua, avevano abitudini e alimenti che lei non conosceva nemmeno, non sapeva che cosa usassero mangiare i genitori della creatura, la guerra infinita non aveva mai permesso lo scambio d’informazioni tra gli elementi delle due popolazioni, singolarmente gli individui non si conoscevano, non condividevano nulla, i linguaggi erano diversi, le abitudini anche e lei non aveva visto gli altri che come avversari.
Comunque non si dava per vinta: provava e riprovava a nutrire l’esserino, ma ogni volta lui girava la faccia disgustato e non mangiava, diventando sempre più debole. Era disperata come solo una mamma che vede morire suo figlio sa essere, in quella situazione avrebbe dato la sua vita per risolvere il problema ma non sapeva che cazzo fare.
L’occasione per dimostrare il suo amore capitò poco tempo dopo: il suo compagno, quello che vigliaccamente era sparito proprio quando lei aveva più bisogno di lui, ricomparve miracolosamente nel suo campo visivo, sgusciando come un fantasma silenzioso da dietro un angolo di pietra….
Era tornato tutto baldanzoso, probabilmente pensava di trovare con lei anche il figlio di cui era padre. Si accorse subito che qualcosa non quadrava: quello che giaceva con la sua compagna non poteva essere suo figlio: non gli assomigliava per niente!!! Anzi, assomigliava in maniera inequivocabile a quelle che erano state da sempre le vittime delle sue cruente scorribande: lui era un combattente, fiero e forte, aveva un’ottima reputazione tra il suo popolo, era rispettato perché coraggioso e generoso, ma non era così generoso da non uccidere gli elementi contro i quali era in lotta ed il suo istinto da guerriero gli fece subito prendere la posizione che anticipava un attacco.
Lei se ne accorse ancora prima di lui, aveva cercato immediatamente di mandargli dei segnali chiari: non rompere i coglioni, non avvicinarti, non provare a far del male o solo a toccare il mio protetto, la mia furia sarà incontenibile, ti ammazzo se solo ti avvicini troppo. Lui questi segnali li aveva notati, ma dentro di se pensava che lei era troppo inferiore per poter permettersi di dettar legge, egli la sovrastava fisicamente, la forza fisica di quella femmina non era minimamente paragonabile alla potenza che lui sapeva tirar fuori nella lotta. Ciò nonostante lei non mollava quell’atteggiamento di sfida.
Quasi non ci credeva: ma come!…..Lei, la sua compagna, una dei migliori rappresentanti del suo popolo, aveva adottato il figlio degli avversari?? Ed ora osava anche sfidarlo, incurante che ciò l’avrebbe sicuramente condotta alla morte ??
La violenza prese il posto dello stupore e lui attaccò, senza nessuna pietà cercò immediatamente di lacerare le carni del piccolissimo essere, non guardò nemmeno in faccia quella che fino a pochi istanti prima era la sua compagna.
Non fece caso alla compagna, ma non fece nemmeno caso alla ferocia che lei seppe mettere in gioco in pochi secondi: grave errore!!
In battaglia, per restare incolumi, bisogna capire al volo tutte le situazioni, prendere tutte le precauzioni del caso all’istante, senza tentennamenti: non capire vuol dire sempre morire.
Quella volta gli andò di culo, nonostante si fosse fatto sorprendere dalla forza che una madre tira fuori per difendere la vita del figlio, riuscì grazie alla sua esperienza di guerriero a limitare i danni, fuggendo sconvolto dal dolore che lei gli aveva inflitto, non senza aver colpito gravemente e profondamente
la sua ex compagna.
Lei non se ne era nemmeno accorta, di esser stata ferita, aveva continuato nella lotta finchè lui non aveva dovuto fuggire per non esser sopraffatto.
Solo dopo, quando era tornata vicino al suo figliolo, si era sentita un po’ male, il sangue che le sgorgava dalla ferita le aveva indicato inevitabilmente l’avvicinarsi della morte.
Aveva paura: non per sé, aveva paura di lasciare solo suo figlio, di lasciarlo alla mercè della crudeltà della vita. Cercò di spostarsi, aveva una sete bestiale, doveva trovare dell’acqua, si mosse verso una zona in cui sapeva ci fosse dell’acqua bevibile….
Quando si avvicinò al liquido che da la vita, si vide riflessa come in uno specchio, e capì: il suo fiero muso di leonessa era diversissimo dal musetto di quel cucciolo di antilope che aveva al suo fianco, aveva adottato il figlio del suo cibo preferito….
Questo pensiero le attraversò la mente proprio mentre esalava l’ultimo respiro, ma tutti giurarono che la sua non era una smorfia di dolore, stava morendo, ma sembrava proprio che si sbellicasse dalle risate.
Vero bastardo
TS 26/02/2011
Il riferimento da cui ho preso lo spunto per scrivere questo racconto breve è la vera storia, accaduta nel 2001, di una leonessa e di un cucciolo di antilope della specie chiamata “orice”, che vivevano nella riserva nazionale di Samburu in Kenya. Il nome del felino era Kamuniak (colei che è benedetta). Nella realtà la leonessa era sterile, rapì il cucciolo ma permise alla madre naturale di allattarlo difendendoli dal resto del branco. La singolare adozione durò solo due settimane, sino alla tragica fine del piccolo orice, divorato da un leone del branco quando Kamuniak dovette necessariamente dormire. Sentendo queste storie viene da chiedersi: ma dov’è che noi uomini siamo migliori degli animali???
lunedì 10 gennaio 2011
Riflessioni sull' articolo di Ceronetti
Condivisibile...condivisibile in tutte le sue parti questo articolo sicuramente provocatorio di Ceronetti. L'attenzione al mondo della Lirica come disperata e tristissima icona di un passato è assolutamente calzante e non criticabile..Ma c'è un punto fondamentale che non convince nessuno a questa spietata diagnosi..La cultura è un incidente di percorso che va demolito quando diventa vecchio e antistorico? Mi chiedo come una mente brillante come quella di Ceronetti si trovi poi invischiato in delle affermazioni che vanno contro lui stesso..I suoi libri saranno ancora da leggere visto che fanno parte di un passato storico sebben recente?.I suoi articoli scritti su giornali che già il giorno dopo fanno parte del passato dovranno ancora esistere?..Attenzione..ci vuole molta attenzione a scrivere certe cose su un quotidiano in mano spesso a persone che davvero della cultura non sanno che farsene..Sorprende che sia Ceronetti a fare questa critica così feroce.Sorprende proprio che uno scrittore, persona sicuramente di cultura, demolisca in un momento una patrimonio storico, artistico e musicale come quello del Teatro lirico in Italia..Sono amareggiata perchè se anche quella che si definisce l"intellighenzia" cade in questo madornale errore significa che in Italia non c'è più possibilità di un vero risorgimento..Andiamo avanti con ballerine nude e i balli del qua qua, tanto cari a questo imbarbarito paese caro Ceronetti..forse sono meno storici..ma non credo verranno ricordati a lungo..Trasformiamo pure i Teatri in supermercati e discount..Mi dispiacerà molto al mio funerale sentire la voce di una cassiera che promuove il tre per due e non il requiem di Verdi..Chissà..magari al suo lo suoneranno..in fondo lei è ancora fortunato Ceronetti..
Silvia Russo
Silvia Russo
Se la Scala chiude, che male c'è?
GUIDO CERONETTI
Questa forma di teatro, il melodramma, l’Opera lirica, ha concluso il suo arco a metà del secolo scorso; è destinata a perdersi, è ormai un puro evento d’obbligo, ma di scarso significato. La musica invece è eterna, il teatro è eterno (di eternità per noi misurabili, che non valgono in aeternum). Ma anche nella musica per carnefici di lager c’è un soffio di eternità che vince il male; anche negli allestimenti di disperazione del Gulag c’è il soffio di eternità del teatro. Questo solo conta.
Il cartellone della Scala è, sia pure bellissimo, già un animale impagliato. Anche gli altri cartelloni... Che bisogno c’è di una stagione d’Opera al Regio di Torino? Di quelle voraci cavallette musicali dell’Arena di Verona? Non chiamiamo «cultura» un evento turistico estivo, costosamente mondano, con pizza finale di mezzanotte! La Fenice ha voluto morire, gioiello dell’epoca rivoluzionaria; ma era dal suo nome destinata a risorgere: potrà vivere di concerti. Si potrebbe lasciar vivere il Regio di Parma, dare una mano al festival rossiniano di Pesaro: Verdi e Rossini bastano, sono glorie, ricordi, e un Figaro qua e uno là fanno circensi di allegria.
Ma se con un bilancio divoratore della Scala la saggezza dello Stato (mai ci fosse) potesse restaurare degnamente Pompei, non esiterei un momento a dar tutto agli scavi e a proteggerli dall’incuria e dalla sporcizia. Un altro teatro d’Opera restaurato, anzi rifatto con genialità ammirevole è il Carlo Felice di Genova, ma con spesa molto minore può ospitare qualsiasi altro degno spettacolo.
L’Opera, come il cinema, vixit. Il suo illanguidimento progressivo è inevitabile.
Uno sprecasoldi di genio fu il più grande dei registi che lavorarono alla Scala. Non è nei miei ricordi, ero troppo giovane, ma credo alle testimonianze: una data memorabile fu quando Visconti, il 28 maggio 1955, creò con Maria Callas e Carlo Maria Giulini la sua versione della Traviata. Ce l’ho tuttora, per intero, nel vinile. La Callas fu la Voce dell’Opera della sua epoca, purtroppo obbligata allo stupro dell’imbecillità dei libretti, di cui non se ne salva uno solo. Per poter tollerare Traviata (che fin dal titolo contiene un’idiozia moralistica) bisogna non sapere nulla della trama, essere giapponesi o kazaki digiuni completamente di locuzioni italiane. Quello sciagurato Francesco Maria Piave! La stupidità concentrata nelle parole dell’Andante del vecchio Germont con l’esultante finale di Dio che esaudisce il suo voto di criminale ruffiano: è vero che la musica riscatta tutto, ma genialità e soldi per simili nefandezze fumettistiche sono ali imbrattate di petrolio.
Vixit, l’Opera, trionfalmente, nel secolo XIX; con Puccini e Boito, o Pizzetti, rantola; con Menotti è uno zombi. Bayreuth non avrebbe dovuto sopravvivere a Goebbels.
Nel XVIII l’Opera è puro svago, il suo passo è leggero. Ma l’Ottocento è sotto un segno progressivamente cupo, la moda è costrittiva e triste, il mistero musicale soccombe al tempo ed è inutile nascondercelo, il trionfo operistico è sempre più il dispiegarsi funesto del piacere per mezzo della sofferenza, richiama stuoli di sadomasochisti, le ideologie, l’antisemitismo, il marxismo, il wagnerismo, il freudismo, sono caserme in marcia. Nella Tetralogia non è tanto il Quattro a prevalere, ma la tetra-ggine che la ravvolge nel termine italiano. Quale cultura, se non necrofila, può rappresentare la ripresa, a costi vertiginosi, di una massiccia sequela di colpi in testa come La Valchiria? I capi nazisti, uno più sadomasochista dell’altro, celebravano con l’Opera wagneriana un culto di Kalì travestito da pellegrini cristiani e un Venerdì Santo delle regioni infere. Quell’immenso Incantesimo del Parsifal uccide letteralmente le nostre limitate capacità di liberare, di riscattare l’anima dalle sommersioni nella materia.
Il pubblico che va alla Scala la sera del 7 dicembre ad immobilizzarsi durante quattro o cinque ore, è impossibile immaginarlo spinto da motivi di elevazione spirituale (uso il vecchio termine del pensiero assassinato, col quale sguazzo meglio che se dico culturale). I motivi sono di vanità pura, esibizione di scollature e pettinature, significare presenza. E per questo i violini si agitano, le grandi bacchette sollevano ondate... Ma sulle facce la noia stampa, in un crescendo di afflizioni, le sue impronte d’irresistibile sbadiglio.
Tutto falso, tutto vento che ha fame.
Immancabili, sempre, le dimostrazioni politiche di chi viene apposta per lavorare all’esterno con le urla e i cartelli... Stavolta la materia infiammabile era desunta da disagi di congiuntura... o di università... ci sono poche varianti... ma la novità è stata l’assunzione da parte di un grande Direttore come Barenboim, prima dello spettacolo, della retorica piagnistea dei tagli alle sovvenzioni di Stato. Non mi pare sia stato di buon gusto recitare l’articolo Nove in presenza di Napolitano che la Carta la sa a memoria, più disposto dal suo palco ad applaudire la noia sgorgante dalla scena che a subire l’incongruità di un articolo che l’Italia aggira, frega, irride dal 1947.
Non è certo stato un gesto di cortesia, da parte del Maestro! E temo l’abbia fatto per fingere solidarietà con la piazza e di beccarsi così un’ovazione del tutto separata dai propri meriti di grande artista. Il pubblico pinguino e delle schiene nude sarebbe stato lui degno di applauso, se fosse rimasto in composto glaciale silenzio. Indigesta sempre è la verità.
È amaro pensarlo ma: se la Scala chiude, che male c’è?
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Questa forma di teatro, il melodramma, l’Opera lirica, ha concluso il suo arco a metà del secolo scorso; è destinata a perdersi, è ormai un puro evento d’obbligo, ma di scarso significato. La musica invece è eterna, il teatro è eterno (di eternità per noi misurabili, che non valgono in aeternum). Ma anche nella musica per carnefici di lager c’è un soffio di eternità che vince il male; anche negli allestimenti di disperazione del Gulag c’è il soffio di eternità del teatro. Questo solo conta.
Il cartellone della Scala è, sia pure bellissimo, già un animale impagliato. Anche gli altri cartelloni... Che bisogno c’è di una stagione d’Opera al Regio di Torino? Di quelle voraci cavallette musicali dell’Arena di Verona? Non chiamiamo «cultura» un evento turistico estivo, costosamente mondano, con pizza finale di mezzanotte! La Fenice ha voluto morire, gioiello dell’epoca rivoluzionaria; ma era dal suo nome destinata a risorgere: potrà vivere di concerti. Si potrebbe lasciar vivere il Regio di Parma, dare una mano al festival rossiniano di Pesaro: Verdi e Rossini bastano, sono glorie, ricordi, e un Figaro qua e uno là fanno circensi di allegria.
Ma se con un bilancio divoratore della Scala la saggezza dello Stato (mai ci fosse) potesse restaurare degnamente Pompei, non esiterei un momento a dar tutto agli scavi e a proteggerli dall’incuria e dalla sporcizia. Un altro teatro d’Opera restaurato, anzi rifatto con genialità ammirevole è il Carlo Felice di Genova, ma con spesa molto minore può ospitare qualsiasi altro degno spettacolo.
L’Opera, come il cinema, vixit. Il suo illanguidimento progressivo è inevitabile.
Uno sprecasoldi di genio fu il più grande dei registi che lavorarono alla Scala. Non è nei miei ricordi, ero troppo giovane, ma credo alle testimonianze: una data memorabile fu quando Visconti, il 28 maggio 1955, creò con Maria Callas e Carlo Maria Giulini la sua versione della Traviata. Ce l’ho tuttora, per intero, nel vinile. La Callas fu la Voce dell’Opera della sua epoca, purtroppo obbligata allo stupro dell’imbecillità dei libretti, di cui non se ne salva uno solo. Per poter tollerare Traviata (che fin dal titolo contiene un’idiozia moralistica) bisogna non sapere nulla della trama, essere giapponesi o kazaki digiuni completamente di locuzioni italiane. Quello sciagurato Francesco Maria Piave! La stupidità concentrata nelle parole dell’Andante del vecchio Germont con l’esultante finale di Dio che esaudisce il suo voto di criminale ruffiano: è vero che la musica riscatta tutto, ma genialità e soldi per simili nefandezze fumettistiche sono ali imbrattate di petrolio.
Vixit, l’Opera, trionfalmente, nel secolo XIX; con Puccini e Boito, o Pizzetti, rantola; con Menotti è uno zombi. Bayreuth non avrebbe dovuto sopravvivere a Goebbels.
Nel XVIII l’Opera è puro svago, il suo passo è leggero. Ma l’Ottocento è sotto un segno progressivamente cupo, la moda è costrittiva e triste, il mistero musicale soccombe al tempo ed è inutile nascondercelo, il trionfo operistico è sempre più il dispiegarsi funesto del piacere per mezzo della sofferenza, richiama stuoli di sadomasochisti, le ideologie, l’antisemitismo, il marxismo, il wagnerismo, il freudismo, sono caserme in marcia. Nella Tetralogia non è tanto il Quattro a prevalere, ma la tetra-ggine che la ravvolge nel termine italiano. Quale cultura, se non necrofila, può rappresentare la ripresa, a costi vertiginosi, di una massiccia sequela di colpi in testa come La Valchiria? I capi nazisti, uno più sadomasochista dell’altro, celebravano con l’Opera wagneriana un culto di Kalì travestito da pellegrini cristiani e un Venerdì Santo delle regioni infere. Quell’immenso Incantesimo del Parsifal uccide letteralmente le nostre limitate capacità di liberare, di riscattare l’anima dalle sommersioni nella materia.
Il pubblico che va alla Scala la sera del 7 dicembre ad immobilizzarsi durante quattro o cinque ore, è impossibile immaginarlo spinto da motivi di elevazione spirituale (uso il vecchio termine del pensiero assassinato, col quale sguazzo meglio che se dico culturale). I motivi sono di vanità pura, esibizione di scollature e pettinature, significare presenza. E per questo i violini si agitano, le grandi bacchette sollevano ondate... Ma sulle facce la noia stampa, in un crescendo di afflizioni, le sue impronte d’irresistibile sbadiglio.
Tutto falso, tutto vento che ha fame.
Immancabili, sempre, le dimostrazioni politiche di chi viene apposta per lavorare all’esterno con le urla e i cartelli... Stavolta la materia infiammabile era desunta da disagi di congiuntura... o di università... ci sono poche varianti... ma la novità è stata l’assunzione da parte di un grande Direttore come Barenboim, prima dello spettacolo, della retorica piagnistea dei tagli alle sovvenzioni di Stato. Non mi pare sia stato di buon gusto recitare l’articolo Nove in presenza di Napolitano che la Carta la sa a memoria, più disposto dal suo palco ad applaudire la noia sgorgante dalla scena che a subire l’incongruità di un articolo che l’Italia aggira, frega, irride dal 1947.
Non è certo stato un gesto di cortesia, da parte del Maestro! E temo l’abbia fatto per fingere solidarietà con la piazza e di beccarsi così un’ovazione del tutto separata dai propri meriti di grande artista. Il pubblico pinguino e delle schiene nude sarebbe stato lui degno di applauso, se fosse rimasto in composto glaciale silenzio. Indigesta sempre è la verità.
È amaro pensarlo ma: se la Scala chiude, che male c’è?
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domenica 9 gennaio 2011
Alfonso Antoniozzi e la sua critica al mondo del Teatro Lirico Italiano
Diciamoci la verità, parliamo per una volta francamente anche a costo di beccarsi una bella querela e finire in tribunale.
Ci hanno preso, spolpato fino all'osso, si son mangiati il mangiabile e adesso abbandonano la carcassa. In prosa come in lirica.
Sono arrivati, si sono impossessati dei teatri, con la scusa del sostegno all'arte e alla cultura hanno messo i loro uomini (quasi sempre gente che col teatro non aveva nulla a che fare) alla testa delle programmazioni e delle assunzioni, hanno assunto chiunque volessero, hanno messo i loro protetti dietro un tavolo d'ufficio, i loro servi ai posti di combattimento, i loro portaborse alle direzioni artistiche.
Hanno svilito le professionalità presenti in teatro derogando la costruzione di scene e costumi a società terze, presumibilmente mangiandosi una fetta degli appalti (non ho le prove, ma non mi servono. Come diceva Pasolini: io sono un intellettuale, non un magistrato, non sta a me cercarle. Le cose le so perchè ho gli occhi che vedono e il cervello che tira le somme).
Hanno ridotto le sarte teatrali italiane a mere attaccatrici di bottoni e riparatrici di orli, i nostri macchinisti e scenotecnici a meri rifinitori di imperfezioni e schiacciolatori di cantinelle, facendo prosperare scenotecniche e sartorie esterne.
Hanno permesso a registi e scenografi e costumisti di usare i loro scenotecnici e sarti di fiducia, in alcuni casi fottendosene allegramente del fatto che alcuni di questi registi e scenografi e costumisti erano in partecipazione societaria con le società scelte.
Hanno commissionato scene e costumi a celebri artisti italiani (Pomodoro, Guttuso, De Chirico...) per poi esporli una volta e lasciarli marcire nei magazzini o dandogli fuoco per far spazio a nuovi stoccaggi.
Hanno strapagato, sì, strapagato cantanti lirici. Cinquanta milioni a sera per una Turandot che arrivava alla generale. Trenta milioni a sera per un Calaf che non portava a termine l'opera. Cinque milioni a sera per dire una frasetta. Io c'ero. Lo so.
Hanno permesso ad alcuni agenti senza scrupoli di fare il bello e il cattivo tempo, probabilmente anche in questo caso per personali tornaconti economici, se non per mera cecità e incapacità gestionale. In entrambi i casi, nessuna scusante.
Hanno assunto otto portieri per teatri in cui ne bastavano due. Dieci addetti stampa quando ne bastavano tre. Venti ragionieri quando ne bastavano cinque.
Hanno chinato il capo di fronte ad assurde richieste sindacali: decenni di indennità di trasferta per teatri senza sede perché in restauro trentennale, quando il teatro di ripiego era a cinquecento metri dalla sede naturale.
Hanno firmato il via libera ad allestimenti miliardari che non potevano in nessun modo essere ammortizzati. Sì, miliardari. Io c'ero. Lo so. Hanno coprodotto spettacoli inamovibili che in nessun modo avrebbero potuto esser portati in un altro teatro perché non si è tenuto conto delle specifiche tecniche.
Ci hanno saccheggiati, spolpati, ridotti all'osso. E adesso ci dicono "arrangiatevi".
La nostra colpa? Quella di aver taciuto. La nostra vergogna? Quella di aver, nei limiti del possibile, mangiato anche noi (ma se non altro noi stavamo facendo il nostro mestiere e obbedivamo alle leggi del mercato vigente). La nostra discolpa? Quella di esser stati sempre dei cani sciolti, che se avessero parlato sarebbero stati allontanati con una pedata, perdendo il lavoro. Chi ci ha provato, come me e altri come me, lo sa. Ancora ricordo la risposta : "Voi avete ragione, ma tenete conto che se insistete su questo punto non metterete mai più piede in questo teatro".
E anche adesso, non mollano. Vogliono anche il midollo. Non se ne vanno.
E noi, noi artisti, noi tecnici, noi registi, noi macchinisti, noi artisti del coro, noi elettricisti, noi sarte, noi professori d'orchestra siamo costretti a cercarci lavoro altrove o ad inventarcene un altro perché non solo non ci finanziano, ma non si inventano uno straccio di soluzione politica, una legge che ci consenta di far bene e senza sprechi il nostro mestiere.
Non se ne vanno. Piuttosto chiudono i teatri. Piuttosto li lasciano marcire. Ma non se ne vanno. Non se ne andranno mai.
E ancora adesso, abbiamo paura di parlare e di far fronte comune. Comune. Insieme a tutti quelli che lavorano in teatro e che di teatro sono appassionati.
Continuiamo pure ad aver paura. Presto, non ci sarà più nessuna ragione di preoccuparsi di perdere il lavoro: ci avranno costretti da tempo a trovarcene un altro.
Facciamo casino, ragazzi, tutti insieme. Riprendiamoci i nostri teatri, riprendiamoci il nostro mestiere, riprendiamoci la nostra vita.
ALFONSO ANTONIOZZI
Ci hanno preso, spolpato fino all'osso, si son mangiati il mangiabile e adesso abbandonano la carcassa. In prosa come in lirica.
Sono arrivati, si sono impossessati dei teatri, con la scusa del sostegno all'arte e alla cultura hanno messo i loro uomini (quasi sempre gente che col teatro non aveva nulla a che fare) alla testa delle programmazioni e delle assunzioni, hanno assunto chiunque volessero, hanno messo i loro protetti dietro un tavolo d'ufficio, i loro servi ai posti di combattimento, i loro portaborse alle direzioni artistiche.
Hanno svilito le professionalità presenti in teatro derogando la costruzione di scene e costumi a società terze, presumibilmente mangiandosi una fetta degli appalti (non ho le prove, ma non mi servono. Come diceva Pasolini: io sono un intellettuale, non un magistrato, non sta a me cercarle. Le cose le so perchè ho gli occhi che vedono e il cervello che tira le somme).
Hanno ridotto le sarte teatrali italiane a mere attaccatrici di bottoni e riparatrici di orli, i nostri macchinisti e scenotecnici a meri rifinitori di imperfezioni e schiacciolatori di cantinelle, facendo prosperare scenotecniche e sartorie esterne.
Hanno permesso a registi e scenografi e costumisti di usare i loro scenotecnici e sarti di fiducia, in alcuni casi fottendosene allegramente del fatto che alcuni di questi registi e scenografi e costumisti erano in partecipazione societaria con le società scelte.
Hanno commissionato scene e costumi a celebri artisti italiani (Pomodoro, Guttuso, De Chirico...) per poi esporli una volta e lasciarli marcire nei magazzini o dandogli fuoco per far spazio a nuovi stoccaggi.
Hanno strapagato, sì, strapagato cantanti lirici. Cinquanta milioni a sera per una Turandot che arrivava alla generale. Trenta milioni a sera per un Calaf che non portava a termine l'opera. Cinque milioni a sera per dire una frasetta. Io c'ero. Lo so.
Hanno permesso ad alcuni agenti senza scrupoli di fare il bello e il cattivo tempo, probabilmente anche in questo caso per personali tornaconti economici, se non per mera cecità e incapacità gestionale. In entrambi i casi, nessuna scusante.
Hanno assunto otto portieri per teatri in cui ne bastavano due. Dieci addetti stampa quando ne bastavano tre. Venti ragionieri quando ne bastavano cinque.
Hanno chinato il capo di fronte ad assurde richieste sindacali: decenni di indennità di trasferta per teatri senza sede perché in restauro trentennale, quando il teatro di ripiego era a cinquecento metri dalla sede naturale.
Hanno firmato il via libera ad allestimenti miliardari che non potevano in nessun modo essere ammortizzati. Sì, miliardari. Io c'ero. Lo so. Hanno coprodotto spettacoli inamovibili che in nessun modo avrebbero potuto esser portati in un altro teatro perché non si è tenuto conto delle specifiche tecniche.
Ci hanno saccheggiati, spolpati, ridotti all'osso. E adesso ci dicono "arrangiatevi".
La nostra colpa? Quella di aver taciuto. La nostra vergogna? Quella di aver, nei limiti del possibile, mangiato anche noi (ma se non altro noi stavamo facendo il nostro mestiere e obbedivamo alle leggi del mercato vigente). La nostra discolpa? Quella di esser stati sempre dei cani sciolti, che se avessero parlato sarebbero stati allontanati con una pedata, perdendo il lavoro. Chi ci ha provato, come me e altri come me, lo sa. Ancora ricordo la risposta : "Voi avete ragione, ma tenete conto che se insistete su questo punto non metterete mai più piede in questo teatro".
E anche adesso, non mollano. Vogliono anche il midollo. Non se ne vanno.
E noi, noi artisti, noi tecnici, noi registi, noi macchinisti, noi artisti del coro, noi elettricisti, noi sarte, noi professori d'orchestra siamo costretti a cercarci lavoro altrove o ad inventarcene un altro perché non solo non ci finanziano, ma non si inventano uno straccio di soluzione politica, una legge che ci consenta di far bene e senza sprechi il nostro mestiere.
Non se ne vanno. Piuttosto chiudono i teatri. Piuttosto li lasciano marcire. Ma non se ne vanno. Non se ne andranno mai.
E ancora adesso, abbiamo paura di parlare e di far fronte comune. Comune. Insieme a tutti quelli che lavorano in teatro e che di teatro sono appassionati.
Continuiamo pure ad aver paura. Presto, non ci sarà più nessuna ragione di preoccuparsi di perdere il lavoro: ci avranno costretti da tempo a trovarcene un altro.
Facciamo casino, ragazzi, tutti insieme. Riprendiamoci i nostri teatri, riprendiamoci il nostro mestiere, riprendiamoci la nostra vita.
ALFONSO ANTONIOZZI
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